5 Dicembre 2005

Fund raising. A rischio il 50% della raccolta fondi in Italia

Fund Raising. Per la precisione, il 53,24%. Questa è la quota percentuale, raccolta esclusivamente con il direct marketing, di tutte le donazioni effettuate da queste importanti associazioni italiane: Airc, Amnesty, Aiutare i bambini, Cesvi, Greenpeace, Lav, Lega del Filodoro, Medici Senza Frontiere, Opera S. Francesco, Unicef, WWF.
Con oltre 203 milioni di euro, queste 11 associazioni rappresentano circa un terzo di tutte le donazioni raccolte in Italia nell’ultimo anno (Indagine Doxa 2004, “Gli italiani e le donazioni”).
Sono queste le principali evidenze che emergono dai dati forniti a Consodata, promotrice insieme all’Avvocato Marco Maglio di un Gruppo di Lavoro costituito dalle stesse associazioni, che ha come scopo la difesa degli strumenti del direct, indispensabili per la sopravvivenza (anche) del Non Profit. Ma non solo: per la prima volta sono disponibili in forma aggregata informazioni che danno una concreta misura della rilevanza e della utilità dello “strumento direct”.
Per esempio, il ROI medio delle campagne direct è del 360%. Cioè a fronte di 1.000 euro spesi ne ritornano ben 3.600. In altre parole, la pubblicità diretta è una forma di comunicazione efficiente ed efficace che riduce al minimo gli sprechi, vantaggio non da poco per organizzazioni che devono rispondere con molta trasparenza dell’uso dei loro fondi. Non sorprende quindi che nel 2004 abbiano effettuato più di 80 milioni di contatti (in media quasi 3 per ogni italiano adulto) e di questi il 95% sia avvenuto per posta, il 5% per e-mail e solo l’1% per telefono, mentre l’SMS è stato utilizzato solo in via sperimentale. Per quanto riguarda invece l’uso degli altri media, quali la stampa o la televisione, sette associazioni su dieci li considerano troppo costosi per i loro budget; sei su dieci li ritengono dispersivi e poco selettivi per raggiungere il proprio target, e anche poco misurabili per quanto riguarda i ritorni sugli investimenti.
A differenza di altri settori che lo hanno sperimentato solo di recente, queste associazioni usano il direct marketing da molto tempo, mediamente da 15 anni! E infatti tanto ci vuole per mettere in piedi il database che cumulativamente dichiarano di aver raggiunto: 5,5 milioni di donatori. A questo punto potrebbe sembrare che l’attività di comunicazione prevalente debba avvenire soprattutto verso i già donatori. E invece non è così, perché nel 2004 più del 50% dei contatti è stato effettuato verso donatori potenziali. Il motivo principale è la compensazione dell’inevitabile turnover, ma anche la necessità di crescere.
E qui sta il vero problema. Per continuare a comunicare ai potenziali sostenitori (che è come dire ‘per continuare a svolgere in futuro la propria attività’) il mezzo più efficiente e più utilizzato, come abbiamo visto, è il mailing. Ma questo non può essere fatto senza liste aggiornate, facilmente reperibili e di grandi dimensioni. Torniamo quindi all’inevitabile nodo, più volte affrontato in questa rubrica: occorre che le liste telefoniche siano rese disponibili per la comunicazione diretta.
Un modo per farlo, senza modificare e senza infrangere la legge, c’è: basta che nel nuovo elenco universale siano inibiti solo gli indirizzi di chi ha chiesto espressamente di non ricevere pubblicità, come è ovvio e come è suo diritto. Tutti gli altri, o perché esplicitamente consenzienti o perché indifferenti, siano lasciati liberi, come lo erano, di decidere da sè che cosa farne delle comunicazioni che ricevono. Questo infatti la legge lo consente ancora.

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