6 Settembre 2008

I “consulenti” che rovinano il fundraising: il rimpiazzista, il rigidone, il criticone, l’imbonitore, l’illusionista, il marchettaro, l’inesperto

Mi spingo oltre, penso che la maggior parte (dico la maggior parte, cioè 80/90%) rovinano il fundraising, non ottengono risultati di raccolta fondi, (tranne di guadagnare qualche soldo per se), fanno incavolare le organizzazioni nonprofit, sono dei veri e propri fund spending. Il consulente di fundraising secondo me dovrebbe essere seriamente delimitato e limitato nel suo lavoro, con incarichi molto specifici, e molto ristretti, con risultati e obiettivi ben definiti. Ma per far questo occorre che chi prende il consulente sia un esperto di fundraising, che sappia dirigerlo.

E non parlo di chi offre servizi di fundraising. Cioè se uno dice “voglio tot per farti la creatività, la stampa e la spedizione di un mailing” oppure “voglio tot per questi indirizzi” oppure “voglio tot per questo software” non è un consulente, ma un fornitore di servizi. No, il consulente è chi imposta la mission, gli obiettivi strategici, quelli operativi, chi “consiglia”. Cioè, a scanso di equivoci, sto parlando di quello che faccio io!

La gente come me, che fa le consulenze, è pericolosa! Non scherzo! Occorre controllarli molto, e molto seriamente. Altrimenti si fa presto a farsi imborgliare. Mi spiego.

E’ la solita vecchia storia: “io non sono un contabile, ma ne capisco a sufficienza perchè chi assumo per fare il direttore ammnistrativo o il consulente di controllo di gestione sia sotto il mio controllo”. Gli operatori del mondo nonprofit non possono sapere tutto quello che so io di fundraising, ma se vogliono che il mio lavoro sia produttivo, devono saperne a sufficienza di fundraising perchè sappiano riconoscere se “sto menando il can per l’aia” o se sto facendo un lavoro serio.

Prima di assumere un consulente (prima di farsi venire in mente l’idea di assumere un consulente di fundraising) occorre conoscere e capire bene cosa è il fundraising, come funziona, quali sono le logiche, quali sono le basi e le prospettive del fundraising. Altrimenti nel 95% dei casi sono soldi sprecati, tempo sprecato, fegato spappolato.

La formazione non insegna a fare fundraising? Può essere! Ma la formazione almeno insegna quel tanto che basta per gestire un po’ meglio il consulente di fundraising. Meglio spendere due soldi PRIMA di avere a che fare con un consulente che DOPO che si sono spesi tutti i soldi.

Lo dico contro il mio interesse, perchè io faccio il consulente!. Ma non è nemmeno paragonabile l’effetto e i risultati che la presenza di un operatore interno può produrre e che pensa quotidianamente al fundraising per una certa organizzazione, e la presenza di un esterno che interviene a spot. Secondo me un consulente che non si pone come principale obiettivo (prioritario e inamovibile) di far partire un solido e dedicato ufficio fundraising INTERNO all’organizzazione entro MASSIMO 6 mesi dall’inizio del suo lavoro, non è un consulente serio, perchè sa che non potrà fare ottenere risultati tangibili, ma solo premesse ai risultati.

Riprendo da un mio vecchio scritto, alcune delle cose tipiche che capita di vedere nelle aziende nonprofit circa i consulenti. Quante volte vi è capitato di vederlo?
1 – il RIMPIAZZISTA: “il capo della società di consulenza va a stringere il contratto e poi passa l’incombenza a qualcun altro e ci si ritrova a lavorare con un principiante”

2 – il RIGIDONE: “Ci siamo sentiti dire da un consulente che ‘scegliendo me, scegliete il mio metodo’”, dice il presidente di un’azienda nonprofit. “Non ci è piaciuto e non l’abbiamo preso. Volevamo un consulente che ci dicesse che ogni azienda nonprofit è un caso a sé e che avrebbero adattato le loro metodologie al nostro caso specifico”.

3 -il CRITICONE: “Non mi fa una buona impressione quando sento un consulente criticare altri consulenti”  “Non mi sembra molto professionale”, spiega. “I migliori consulenti sono abbastanza bravi da poter presentarsi per i loro punti forti, e non per i punti deboli degli altri”.

4 – l’IMBONITORE: “Esagerare” nelle presentazioni. I consulenti che si comportano da imbonitori “fanno affermazioni come ‘vediamo per voi un mercato da 5 milioni di Euro’: come dire che ovviamente non vedrete mai tutti quei soldi senza di loro”,  “Non lo dicono così esplicitamente, ma danno l’illusione che le due cose siano legate. Diverse volte mi sono accorto che sceglievano una cifra a caso, senza nulla di scientifico, ‘a naso’. E così ho capito che magari avevamo anche bisogno del loro aiuto, ma certamente non nella misura in cui volevano vendercelo”. Aggiunge: “Molti dicono, ‘Io sono un esperto. Lasciate che vi spieghi io come fare’. Ma ormai le aziende nonprofit sono più sofisticate di un tempo. Hanno bisogno di assistenza, non di paternalismo”.

5 – l’ILLUSIONISTA: Non dire esattamente all’azienda nonprofit quanto costano i servizi. I consulenti fanno affermazioni come “il costo sarà giornaliero oppure per visita, più spese”, afferma il direttore di fund raising di una azienda nonprofit . “È su quel ‘più spese’ che si rischia grosso. A noi piace che il consulente dica ‘Secondo le nostre stime, la spesa di aggirerà intorno a X”, oppure “Ho altri clienti nella vostra zona e potreste dividere le spese’.

6 – il MARCHETTARO: (detto anche CAGNOTTISTA, dal verbo dare la “cagnotta”) Un consulente “voleva a tutti i costi che la nostra azienda nonprofit usasse il personale della società di consulenza per la scrittura (chissà perchè?….), per il design e per la stampa del materiale, e ci ha fatto spendere di più di quanto avremmo speso usando il nostro personale ed i nostri contatti, che peraltro erano anche più bravi in quel tipo di lavoro”. Aggiunge poi: “È come comprare una macchina, e accorgersi ad un certo punto che il prezzo è molto più alto perché si pagano tutti gli extra di cui non sia ha bisogno”.

7 – l’INESPERTO: Mancanza di conoscenze sul fund raising nell’area geografica in cui si trova l’azienda nonprofit.  “Il consulente sa tutto quello che c’è da sapere sul telemarketing, ma non capisce il vostro ambiente, il vostro mercato”. “A volte ci si ritrova ad optare per un consulente locale semplicemente perché conosce il mercato, perché ne ha un’esperienza più diretta. Ogni città è diversa dalle altre”.

saluti!

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