La domanda è semplice e allo stesso tempo complessa. Cosa ne dite?
Gentile Prof. Melandri,
innanzitutto la saluto, le faccio i miei più sentiti complimenti e ringraziamenti per il suo lavoro e la disponibilità che dimostra verso il settore non profit ed il suo popolo di operatori e beneficiari.
Sono un giovane di 23 anni con alle spalle grande esperienza di volontariato ed associazionismo, anche con ruoli di responsabilità. L’opportunità di sperimentarmi e formarmi nel fundraising mi è stata offerta da un’associazione, che si occupa di trauma cranico encefalico (TCE), dal punto di vista della ricerca ed informazione medica, del reinserimento sociale delle vittime del trauma e del sostegno ai loro familiari.
Devo essere onesto e dire che la mia esperienza in materia di raccolta fondi è tutta da fare: per conto di varie associazioni già mi sono misurato con bandi comunali, provinciali, regionali, ministeriali e con campagne di iscrizione e del 5 per mille. Per filosofia diffusa negli enti in questione e che magari può un po’ far sorridere (la libertà da i ccondizionamenti del profit), si è sempre esclusa una fonte di finanziamento che è invece da curare con attenzione: le sponsorizzazioni aziendali.
Ora, per conto di questa associazione mi trovo a dover invece misurarmi con questa nuova realtà.
Quella che le pongo è una questione che definirei etica, e che mi fa rimuginare non poco: le persone con TCE (Trauma Cranico encefalico, nda) presentano evidenti disabilità fisiche e/o cognitive. Molti soci sono proprio persone con TCE, che dopo il trauma si trovano a dover ricominciare a vivere…daccapo, conservando fortunatamente in parte la rete di relazioni umane già intrattenute. Vi sono nella compagine sociale anche diversi ex-professionisti con molti interessanti contatti aziendali sicuramente da impiegare per il sostentamento della causa associativa, ma ecco che qui si pone il dilemma: la dirigenza suggersice di presentarmi agli incontri accompagnato dalla persona di riferimento, perchè faciliterebbe la sensibilizzazione dell’eventuale donatore o sponsor.
Ciò detto, mi assale la titubanza: è questo un espediente accettabile o no? Sicuramente si valorizza la persona con TCE, che può confrontarsi con una situazione socialmente stimolante; dall’altra il mio sentire mi dice che si rischia uno “sfruttamento dell’immagine”, e che si ponga il donatore in una situazione quasi di imbarazzo, contato anche che poteva già essere in relazione col socio prima dell’evento traumatico.
Ovviamente, questo discorso si può ampliare a tante onp operanti nel sociosanitario, che hanno dalla loro parte dei “testimonial” più veri che mai.
Mi farebbe piacere avere una suo opinione, sulla base della sua esperienza o di quella raccontata da colleghi.
La ringrazio per il suo tempo,cordialmente
A voi la parola, e grazie del vostro tempo! (VM)