Altra bella email di una persona che mi ha scritto sulla sua volontà di lavorare nel nonprofit e che mi ha fatto riflettere ed ancora una volta ribadire perchè sono fundraiser.
Gentile Professor Melandri,
Nel bel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita… E dopo aver navigato nel suo blog ho intravisto un nuovo, interessante sentiero… Chissà se mi può dare un consiglio?
Sono stata colpita dal commento di una sua studentessa: “Io voglio fare la fundraiser per far coincidere il mio cervello con il mio cuore, perchè voglio che i miei pensieri nutrano le mie passioni e perchè le mie capacità possano servire i miei valori morali” Le parole di Mariangela descrivono perfettamente quello che sento e che non trovo nella mia professione.
Lavoro in comunicazione pubblicitaria dal 1994, dopo un diploma di perito turistico al quale è seguito un corso di desktop publishing. Ho iniziato come grafica editoriale per poi trasformarmi in account d’agenzia nonchè in promoter di opere d’arte per poi tornare alla comunicazione questa volta come consulente free lance collaborando con più aziende in qualità di art director, account e responsabile editoriale per una piccola pubblicazione,… Diciamo che se dovessi scegliere un animale che mi assomigli, sceglierei sicuramente il camaleonte!
Devo rendere grazie a questa mia capacità di adattamento e trasformazione che ad oggi mi ha sempre aiutata, ma forse mi ha anche fatto perdere di vista realmente chi sono e cosa desidero. Forse a 36 anni suonati può essere che inizio a capirlo. Mi appassiona il tema del sociale, mi piacciono le persone, scoprirne la forza e le risorse, vorrei trovare un valore più alto nel mio lavoro di tutti i giorni, vendere i servizi dell’agenzia che rappresento non mi basta, mi sento compressa in quello cha faccio è un po’ come l’esempio del libro di Godin che riporta nel suo blog:
“Sanno già come si fa a progettare un grande sito web o come creare un blog di successo. Ma non lo fanno. Non lo fanno perchè la società, i capi, i partner o i colleghi non permettono loro di assumere iniziative efficaci. E’ come se la loro ventiquattrore fosse piena di propano compresso, ma non riuscissero a farlo esplodere” Conclude il libro di Godin e sempre credo che sia veramente una descrizione adatta: “A quel punto intervengo io. Porto i fuochi d’artificio. Non sono fuochi particolarmente rumorosi nè potenti, ma sono comunque in grado di richiamare l’attenzione e, soprattutto, di far esplodere il propano che già avete“. A me i fuochi d’artificio mi affascinano e ne uso più che posso…
Ecco Professor Melandri, avrei bisogno di qualche fuoco d’artificio, quelli di capodanno non sono stati sufficienti, mi chiedevo se lei ne avesse di più potenti!
Qualsiasi risposta è gradita, se è arrivato a leggere fin qui, grazie di cuore! 🙂
LA MIA RISPOSTA
Grazie del bel messaggio, che posso fare per lei?
io ho letto e riletto per cercare una risposta adeguata alla sua grande energia e voglia di fare, ma non l’ho trovata. Posso solo dirle che quando uno decide di occuparsi di nonprofit (e in particolare di fund raising) lo puo’ fare, secondo me, solo per un motivo: il bisogno di giustizia.
L’idea guida di ogni impegno nel nonprofit, degno di questo nome è la giustizia. Chiunque faccia del nonprofit, non un affare, ma la reale vocazione della vita, è mosso dal desiderio di giustizia. In questo che uno sia cattolico o laico, di destra o di sinistra, tutto è perfettamente uguale: quando si vuole essere veramente fedeli al proprio impegno verso il nonprofit, tutti vogliamo la giustizia.
E mi sembra che questa sia anche la sua necessità. Ma piu’ di questo non posso dirle, ora sta a lei, decidere da che parte iniziare! un saluto e buon lavoro.
[Foto di Iguana Jo sotto licenza Creative Commons]