Mi scrive una amica e mi pone una domanda che è sempre più attuale nel mondo del fundraising e per i giovani fundraiser: a quali condizioni accettare uno stage gratuito? Quali sono i passi per essere sicuro che sia uno stage che valga?
Ecco la sua lettera e dopo la mia risposta
Ciao Valerio, ho conosciuto anche il presidente dell’associazione […], ci siamo trovati ed io mi sono proposta, volontariamente, per supportarli con un piano di raccolta fondi, in particolare, per una ristrutturazione di alcuni locali del quale loro hanno già a grandi linee definito il progetto.
Ho detto loro che il mio aiuto era tendenzialmente “gratuito” per fare esperienza. Ho aggiunto però che la mia collaborazione potesse evolversi previo compenso da concordare, qualora le esigenze di intervento fossero diventate di una certa importanza in temini di tempo e di impegno.
Ho anche chiesto loro la possibilità di scambiare il mio tempo/lavoro con una convenzione di stage, per regolarizzare maggiormente la collaborazione.Ad entrambe le cose si sono trovati d’accordo. Quindi ho elaborato un breve piano di raccolta capitali e la prossima settimana contavo di illustrarlo loro e di capire in che termini fosse possibile applicarlo in base alla loro disponibilità. Quello che ti chiedo è: per quanto riguarda la mia esperienza professionale è importante regolarizzare il rapporto con l’associazione attraverso uno stage? Ho pensato comunque di aiutarli per continuare ed allargare le cose “da fare” sul campo anche senza un compenso iniziale, in una prima fase. Tu cosa ne pensi?
Ecco la mia risposta:
Direi che lavorare gratis all’inizio è un buon inizio, ma devi tenere presente che se non c’è il pieno coinvolgimento del CDA e della governance in generale è molto difficile ottenere risultati; si tende a farsi pagare perché spesso si pensa: “tanto lavora gratis, vediamo cosa combina, al limite non spendiamo niente”, che è un atteggiamento devastante nel fundraising. Che tu sia in stage o meno conta relativamente poco, quello che conta è che loro FIRMINO una carta di impegno con te (due riunioni a settimana, la fornitura e l’accompagnamento dai grandi donatori, il rimborso delle mere spese telefoniche e di benzina, una postazione di lavoro in sede garantita ecc., questi sono solo esempi) che dimostri il loro effettivo interesse al tuo lavoro. Senza questo valuterei con attenzione, perché regalare il proprio tempo nel fundraising può essere controproducente.
Quindi occorre fare attenzione a non dare le perle ai porci… sarebbe uno spreco e inoltre si corre il rischio di fare morire di fame i porci (ovviamente non sono porci era solo per seguire l’esempio evangelico…..!!!!).
Se non mi sono spiegato riscrivimi, ma devi buttare giù un elenco di cose che TU TI ASPETTI CHE LORO SI IMPEGNINO A FARE e, allo stesso tempo, elenchi una serie di cose che tu ti impegni a fare.
Un contratto necessariamente non prevede un compenso economico, ma occorre comunque una sorta di “patto” fra te e loro, altrimenti molte volte il fundraising rischia di naufragare nel menefreghismo del consigli e dell’organizzazione.
Ciao e chiama se hai bisogno.