Ho recentemente risposto ad un po’ (anzi un bel po’) di domande che mi sono state fatte da una laureanda.
Il tema è interessante ovvero “La rappresentazione dell’altro nelle campagne di comunicazione nonprofit di raccolta fondi”.
Ecco di seguito le domande con le mie risposte, mettetevi comodi per leggerle…
Domanda: Quale campagna no profit (stampa, televisiva) l’ha particolarmente colpita di recente? Perché?
Risposta: Più che una campagna recente mi ha colpito un modo recente di fare campagna e parlo dell’esempio di Agire (http://www.agire.it/it/media_room/multimedia.html e www.agire.it) finalmente un modo per ong che trattano tematiche simili e lavorano spesso negli stessi paesi esteri di fare campagna in modo comune. In UK le onp fanno campagne per la promozione dei lasciti testamentari insieme, investendo migliaia di sterline in promozione di uno strumento di raccolta fondi.
Agire è un primo bel passo concreto (e non i soliti accordi pro-forma) nel lavorare insieme, coordinati, fra organizzazioni nonprofit. Le campagne di agire mi colpiscono non tanto per la loro originalità, bensì perché sono una novità nel panorama del nonprofit italiano. Probabilmente infatti non ci si rende conto di quante risorse economiche e non si sprecano tra organizzazioni nonprofit nel voler spesso continuare a “fare da sé” invece che a condividere esperienze, idee e sforzi
Domanda: Ritrova degli aspetti comuni tra le campagne no profit (istituzionali o di raccolta fondi) degli ultimi tempi (toni, immagini utilizzate, linguaggio)?
Risposta: Alcuni aspetti comuni purtroppo ci sono: al di là delle campagne del cinque per mille che spesso ripetono slogan e linguaggi noiosi (siamo in 5 per 1000, dammi il 5, etc.) spesso vedo in giro campagne, di mailing, con immagini troppo rivolte a risvegliare il donatore solo dal punto di vista emotivo. Bambini che piangono, affamati oppure donne sofferenti: sono oramai immagini si veritiere, ma talmente troppo utilizzare che la soglia di interesse del potenziale donatore si è abbassata, in quanto si è “abituato” a vedere queste immagini e non suscitano più quella risposta che si otteneva in passato.
Anzi è anche un uso diseducativo delle immagini in quanto innalzando il livello di abitudine del potenziale donatore fa si che si corra il rischio di dover o aumentare il livello emotivo o, come spero, di cambiare nettamente modalità di comunicazione
Domanda: Come si differenziano rispetto a quelle del passato?
Risposta: Direi che si sta risvegliando oggi la consapevolezza che bisogna spiegarsi meglio ai donatori: non bastano campagne con una forte immagine e uno slogan di impatto. E’ necessario spiegare bene quello che si fa e come lo si fa, non basta uno slogan. Va tutto più approfondito. Nelle riviste delle onp, nelle campagne ci deve essere sempre un riferimento per avere altro materiale, video, foto, testi magari su un sito o un blog che diano la possibilità al donatore di approfondire il contenuto della campagna.
Non basta più dire: “C’è bisogno, siamo bravi, dacci una mano” va spiegato: perché c’è bisogno del donatore, perché c’è bisogno ora, perché l’onp sa soddisfare il beneficiario della donazione e come lo rendiconta al donatore. Nel passato c’era molta superficialità a volte data anche dagli scarsi controlli esercitati dai donatori, oggi invece i donatori sono soggetti molto più attenti e consapevoli dell’importazione della loro donazione e ne vogliono vedere i risultati.
Domanda: Si ricorda una campagna no profit (stampa o televisiva) di raccolta fondi che ha riscosso un particolare successo?
Risposta: Penso alle varie campagne della Lega del Filo d’Oro (anche l’ultimo video è realmente fatto bene e colpisce http://www.youtube.com/watch?v=3rMg1D85tLA), una onp che ha dovuto spiegare una causa fra le più difficili da spiegare alle persone (assistenza a persone con gravi disabilità, sorde, cieche e mute) e c’è riuscita in questi anni ottenendo risultati di raccolta fondi sorprendenti e sapendosi diffondere in varie parti d’Italia con i suoi centri di assistenza.
Perché ci sono riusciti? Secondo me perché sin dall’inizio hanno compreso che per fare fundraising ci vuole una metodologia precisa e loro l’hanno imparato, applicata, cercata anche formandosi in Italia e all’estero.
Domanda: Mi potrebbe fare qualche nome di ONG (nazionale o internazionale) che a suo parere si distingue per una efficace comunicazione pubblicitaria (sempre above the line) di raccolta fondi? Perché?
Risposta: Secondo me ong come Cesvi, Greenpeace fanno una buona comunicazione in Italia. Il Cesvi per la chiarezza dei contenuti, è sufficiente prendere il giornalino che inviano ad ogni donatore per capire quanto questa ong ci tiene al donatore privato, quanto cerca realmente di “farlo suo”, di spiegargli i progetti dell’organizzazione, di renderlo partecipe. Greenpeace invece è efficace per saper coinvolgere via web (e qui anche Terre des Hommes ha creato delle interessante iniziative via web) i propri donatori, creando una specifica categoria di volontari, i cyber-attivisti che rende molto “giovane” il target di Greenpeace. Anche qui se ci si abbona alle newsletter di Greenpeace si vede quanta cura ci mettono nella comunicazione, non è il solito elenco di novità, non è una sterile newsletter che ripete vecchi comunicati stampa, ma un aggiornamento sulle campagne in essere, con modalità di partecipazione online e non alle medesime
Domanda: Quali sono gli “ingredienti” per il successo di una campagna pubblicitaria (stampa o video) di raccolta fondi? Come si colpisce emotivamente e si spinge ad agire il pubblico? Attraverso quali tipi di immagini, toni, linguaggio?
Risposta: Qui ci vorrebbe un libro interno per rispondere. Comunque serve:
- Aver chiaro a chi si vuole comunicare: i propri donatori? I potenziali donatori?
- Aver chiaro quale messaggio si vuole passare
- Immagini: basta con le immagini “tragiche”, meglio un bambino felice, una mamma guarita che dimostrano come l’onp può migliorare determinate situazioni. Non partiamo dal tragico per arrivare alla soluzione, facciamo vedere al donatore la soluzione che l’onp può dare con la donazione
- Toni e linguaggio: netti, decisi con un linguaggio non da operatori del settore, ma da vita di tutti i giorni. Ci sono messaggi di onp che non sono chiari, sono per fundraiser o per addetti del settore (prendete ad esempio le pagine sulla deducibilità delle donazioni che riportano quasi tutte le noiose citazioni della legge medesima, ma non sarebbe meglio spiegarlo con parole più semplici?)
Domanda: Per un maggiore feedback del pubblico in termini di donazione che reazione emotiva è auspicabile abbia lo spettatore alla visione di una campagna no profit? (es. Indignazione, denuncia delle sofferenze? Commozione? Pietà?)
Risposta: La reazione migliore secondo me è: “Voglio esserci, voglio far parte di, voglio essere agente di cambiamento”. Le reazioni emotive hanno dei pregi ovvero si raccolgono molti fondi (si veda lo Tsunami o il terremoto in Abruzzo) ma anche dei difetti: le persone si scordano facilmente di quella causa, non la legano ad un ragionamento razionale, ad un impegno costante di donazione
Domanda: Il colore rosso è molto presente nelle campagne e nei siti no profit : perché secondo lei?
Risposat: Forse perché il rosso è il colore che identifica l’energia vitale del sangue che c’è in ogni uomo? Sarebbe da studiare la cosa. Anche qui comunque sui colori ci sarebbe da dire qualcosa, perché per le campagne sulle donne si sceglie spesso o il rosa o il giallo?
Domanda: Nelle campagne stampa no profit di molte ONG anche non necessariamente legate a tematiche specifiche, spesso sono visualizzati per lo più donne e/o bambini. Perchè secondo lei?
Risposta: Perché colpiscono l’immaginario collettivo che li vede come le persone più indifese.
Domanda: Nella maggior parte delle campagne pubblicitarie no profit, nelle foto, nei filmati etc come viene rappresentato chi ha bisogno di aiuto? (per es. sofferente , sorridente, con lo sguardo in macchina o meno, vittima, debole, da solo o in gruppo…etc) Ci sono delle costanti? Perché secondo lei?
Risposta: La costante è spesso purtroppo di rappresentare chi ha bisogno di aiuto con immagini di sofferenza. Questo perché si pensa che così sia facile convincere il donatore a donare colpendolo emotivamente, ma come ho già detto questo modo di fare non va bene, crea un innalzamento della soglia di abitudine a tali immagini che perdono la loro efficacia e significato
Domanda: Che lei sappia ci sono studi in merito al feedback delle popolazioni bisognose d’aiuto in merito alle campagne che li raffigurano e chiedono donazioni per la loro causa? (Cosa pensano delle campagne no profit? Come si vedono rappresentati? Si rispecchiano in quelle immagini?)
Risposta: Non credo ce ne siano, ma sarebbe uno studio da fare. Mi ha dato una idea per proporlo nel Centro Studi Philanthropy www.philanthropy.it che dirigo
Domanda: Nel caso non ci fossero studi/ricerche in questo senso, le sembrerebbero utili in futuro?
Risposta: Certamente
Domanda: L’adozione a distanza (di bambini, mamme, crisi dimenticate per es.) è molto utilizzata nel no profit. Come mai?
Risposta: Perché lega donatore e onp sia con una donazione costante che con un livello di informazioni maggiore (se l’onp è però capace di comunicare efficacemente con il donatore)
Domanda: Il linguaggio pubblicitario di molte ONG mi sembra riprenda metafore militari e appartenenti alla dicotomia guerra/pace (es Medici senza Frontiere, Emergency etc). E’ d’accordo? Come mai secondo lei?
Risposta: Perché molte ong operano laddove c’è bisogno e laddove c’è bisogno sono spesso zone di guerra. Un nome efficace di ong è comunque importante, i due esempi da Lei riportati sono esempi di scelta azzeccata del nome.
Domanda: Un’altra metafora che mi sembra ricorrente è quella dell’eroe/benefattore (la ONG, noi donatori) che va a “salvare” la vittima in pericolo portandogli ciò di cui ha bisogno. Anche secondo lei ricorre spesso? Come mai?
Risposta: Perché a tutti noi, anche ai grandi, piacciono le favole con i lieto fine. L’ong che salva, insieme al donatore, il beneficiario non è altro che una proiezione adulta di quando ci veniva raccontata una storia di principi, dame e cavalieri, solo che la si proietta in un contesto reale ed adulto. E’ comunque giusto che sia così, le metafore aiutano a spiegare anche cause difficili (si veda ad esempio la Lega del Filo d’Oro).
Domanda: Molto forte nel no profit l’uso della testimonianza (di volontari, di persone che hanno bisogno d’aiuto e raccontano la loro storia, etc). Come mai secondo lei è importante raccontare una storia?
Risposta: Come ho detto prima, siamo adulti ma abbiamo bisogno di storie. Non possiamo ricevere lettere di raccolta fondi che sembrano bollettini di guerra o report come quelli che leggiamo in ufficio, devono essere racconti belli di storie reali, non favole per adulti, ma storie reali, raccontate bene. Per questo chi fa raccolta fondi non deve essere un abile racconta storie o un abile venditore, non può essere un rappresentante di commercio del nonprofit, ma una persona con molteplici competenze anche linguistiche.
Domanda: Perché è importante sottolineare che quello che si vede e che le persone che si vogliono aiutare sono “reali” (attraverso reportage, storie vere etc) ?
Risposta: Perché sono troppi gli anni passati a dover leggere le storie delle ong tramite lettere o riviste associative (sempre utili comunque), oggi il web (video,foto, integrazione con i blog) permette all’onp di raccontare quello che fa con l’uso di immagini e di ricevere il feedback tramite email o commenti sul sito direttamente dai propri donatori o simpatizzanti. Bisogna fare toccare con mano al donatore dove va a finire la sua donazione, non bastano più i bilanci pubblicati sui siti delle onp
Domanda: “Crisi, emergenza” sono termini che ritroviamo molto spesso, sia in tv che nel no profit: non c’è il rischio che tutto diventi una crisi, che lo spettatore vada in “assuefazione di crisi” e non prenda più adeguatamente sul serio le campagne no profit?
Risposta: Certo che c’è, ma sta alle onp affrontare insieme questo problema. Come ho detto all’inizio Agire è una risposta a questo problema. Fare campaigning insieme, fare mailing insieme (forse chiedo troppo?), insomma coordinare le forze perché oramai il tempo delle ideologie e del “io sono più bravo di te” è finito, meglio una sana concorrenza e una reale cooperazione.