Ho letto oggi un bel post di Virginia sul suo blog. E’ un post che parla del lavoro di fundraiser, di cosa vuol dire lavorare nel fundraising, perchè scegliere di essere fundraiser. Ve lo riporto, invitandovi a leggerlo e commentarlo qui e sul blog di Virginia.
Era appena conclusa la campagna natalizia. Scoppia l’emergenza Haiti e nel fundraising si ricomincia da capo.
Ad Oxfam Ireland abbiamo raccolto circa 800mila euro in due settimane, con circa 5000 donazioni e quasi altrettanti nuovi contatti/donatori, i quali stanno organizzando concerti, eventi, spettacoli, attivita’ di raccolta fondi per Haiti. Una cosa mai vista prima ad Oxfam Ireland, manco 5 anni fa per quell’altra grande emergenza che ha scosso le anime (e i portafogli) delle persone, lo Tsunami.
Il mio piano per i prossimi mesi prevedeva anche di venire a casa a fine gennaio per una visita, poi ho pensato a febbraio come opzione migliore, ora pare che fino a marzo non riusciro’ a lasciare la terra irlandese.
Dal punto di vista umano, e’ inutile dirlo, il terremoto pare abbia portato l’inferno sulla terra. Personalmente, di fronte alle immagini in tv quasi mi viene da chiudere gli occhi. Oxfam ha perso due dei propri dipendenti nel terremoto, si possono contare numerosi morti e dispersi anche tra i famigliari del nostro staff ad Haiti. L’ufficio della capitale e’ distrutto per meta’.
Ma il fundraising alla fine dei conti e’ un buiseness, e cavalca l’onda di questo tipo di emergenze. La parola Haiti assume oggi un valore emotivamente magico per chi raccoglie fondi, una sorta di polvere di fata tipo Peter Pan che, dove usata, permette di volare. Poiche’ il fundraising deve andare avanti – in fondo ci sono altre terribili emergenze nel mondo che non hanno la “fortuna” di avere un tale richiamo mediatico – usare la parola Haiti oggi ti permette di arrivare prima e con piu’ forza al cuore delle persone. Cinico, no?
Per un fundraiser in questi momenti particolarmente e’ difficile lamentarsi del proprio lavoro o vantarsi dei propri successi, perche’ le persone non capiscono. Arrivo a casa ogni sera e incontro i miei coinquilini: la differenza tra me e loro e’ che loro possono lamentarsi finche’ vogliono del fatto che lavorano tanto, sono stressati, etc etc. Io no, anche se sono obbligata a passare i weekend in ufficio, lavoro 12 ore al giorno e ho dovuto rimandare le mie ferie. Perche’ come puoi lamentarti quando ci sono migliaia di persone morte, disperse, senza casa, senza piu’ famiglia??
Ma un fundraiser deve alla fine dei conti produrre soldi. Il fundraiser deve dare ad eventi come un terremoto un valore economico, deve coglierne le potenzialita’ e farle fruttare al meglio nel futuro. Il fundraiser cosi’ appare una figura estremamente cinica, forse piu’ che qualsiasi altra, piu’ dell’avvocato divorzista, il notaio, l’azienda funebre.
E tuttavia sono orgogliosa di essere un fundraiser. Per me il fundraiser e’ colui che e’ capace di mettere da parte tutti i moralismi e i luoghi comuni perche’ vede con chiarezza il punto di arrivo, il motivo per cui e’ necessario ad un’organizzazione. Il fundraiser non piange sugli eventi passati, ma usa le emozioni che ne derivano per migliorare il futuro.
Sono una fundraiser perche’ ho scelto la testa al cuore. Altrimenti penso che farei la scrittrice, la reporter, magari l’artista.
Mi scuso, pensieri in liberta’ stasera Un in bocca al lupo a tutti i fundraiser che si stanno occupando di Haiti in questi giorni.