Sono in aereo per New York e mi chiedo “change for goods” ovvero una raccolta degli spiccioli delle monete diverse da quelle che si usano nel paese dove si arriva.
Arrivo a casa e vado a fare la prima spesa, compro i corn flakes e offro 1 dollaro ogni pacco che acquisto, poi vado alla cassa del supermercato e mi informano che è aperta la raccolta fondi di 1 euro per l’american heart association. Esco e vado in metropolitana, sale un volontario, ben vestito, degli Homeless for Good (“senza fissa dimora”, in parole povere i barboni…) che annuncia che stanno facendo una raccolta fondi per pagare il cibo a coloro che vanno a mangiare gratis alle loro mense. Compro l’abbonamento della metropolitana e scelgo se donare un dollaro in più rispetto ai 112 dollari del costo mensile. Sono qui da 24 ore e sono stato già soggetto di 5 raccolte fondi…
Filippo mi dice: “In effetti molti chiedono, ma in tanti donano. Hai visto babbo?”.
Ha ragione.
Donano in tanti, i più poveri meno, ma donano. Non è una roba per ricchi è una roba per tutti.
Non ci si muove senza essere soggetto di una raccolta fondi, ma alla fine tutti donano (e le statistiche dicono che il 76% degli americani dona regolarmente).
Il dono è “abitudine”.
È un meccanismo semi-automatico perchè un uomo diventa quello che si abitua a fare. E se uno mangia solo pop-corn (il più grande pacco di pop-corn della mia vita l’ho visto ieri) diventa un ciccione…, e se uno si abitua a donare… diventa un donatore…
Ecco cosa manca ancora in Italia: abitudine, abitudine, abitudine…. perchè, come dicono le statistiche, “il miglior fattore predittivo delle donazioni, è la donazione stessa”.
O creiamo l’abitudine…. o si muore di crisi!