PROVINCIA grande o piccola? Area vasta o ristretta? Regione Romagna sì, Regione Romagna no, ecc.
Si fa un gran parlare di come modellare il nostro territorio nel prossimo futuro.
Ma davanti a tanti litigi, forse non tutti sanno di cosa parlano. In realtà un modello organizzativo descrive una sola cosa: la logica in base alla quale una società crea, distribuisce e cattura valore. Questa è l’unica domanda che tutti si fanno qua a New York e che quasi nessuno si fa per pensare alla Romagna. La domanda da porsi è: se ci organizziamo in questo modo, quale valore trasferiamo ‘in più’ al cittadino? Quali problemi del nostro cittadino contribuiamo ‘di più’ a risolvere? Che necessità del cittadino soddisfiamo di più organizzandoci così? Che tipo di relazione ciascun segmento della nostra società si aspetta di stabilire e mantenere con noi?
Faccio degli esempi.
Fino a ieri lo sviluppo di una comunità era basato sulla concentrazione di un piccolo numero di attività, ciascuna delle quali vendeva in grandi volumi e garantiva benessere per tutti: c’era la Mangelli, poi la Marcegaglia, la Electrolux e magari il mobile imbottito. E così in una città bastava che ci fosse un settore che ‘tirava’, e lo sviluppo era assicurato.
Oggi per effetto della facilità di accesso agli strumenti produttivi (costano meno) e della democratizzazione della distribuzione (internet), molte città vincenti sono ‘a coda lunga’, ovvero sono costrette a concentrarsi su un ampio numero di attività, ciascuno dei quali vende bassi volumi.
TANTE o tantissime nicchie sono molto più il futuro rispetto al sogno di avere una ‘Forlì città della….’. E ancora. Chi dice: «se facciamo della ricerca, vinceremo», vive nel mondo di 20 anni fa. Oggi vince soprattutto chi sa beneficiare della ricerca altrui. Vinceremo se utilizzeremo al meglio le idee degli altri. Spesso si hanno difficoltà nel concepire modelli di società innovativi perché si è bloccati dallo status quo. Lo status quo, specie a Forlì, soffoca l’immaginazione. Un modo per superare questo problema consiste nel mettere in discussione le assunzioni tradizionali con domande del tipo «cosa succederebbe se…». Alcune delle più grandi innovazioni del nostro tempo derivano proprio da questa domanda.
Skype, il servizio che mi permette di chiamare via internet gratis tutti i miei amici in Italia, è nato perché qualcuno si è chiesto «cosa succederebbe se chiamassimo al telefono gratis in tutto il mondo?». E in una città? Facciamo qualche esempio: cosa succederebbe se installassimo 500 canestri da basket in città e regalassimo ad ogni ragazzino di 10 anni un pallone da basket? Cosa succederebbe se i singoli potessero prestarsi denaro a vicenda invece di chiederlo alle banche? Cosa succederebbe se ogni singola donazione che fa la Fondazione di Forlì non potesse essere più grande di 1.000 euro?
ALCUNE domande sono destinate a rimanere senza risposta.
Ma alcune hanno semplicemente bisogno di trovare chi le coltiva.
Non è solo un problema di ricambio generazionale.
Ci sono (molti) giovani già vecchi e (pochi) vecchi ancora giovani.
Occorrono visionari, innovatori, amanti delle sfide capaci di combattere modelli di società antiquate e di progettare le società del futuro. A Forlì ci sono persone così? Beh, quando si cerca un nuovo sindaco, direi proprio che questo dovrebbe essere il criterio di scelta!