Quando Francesco Ambrogetti, fundraiser di lunga data[1], mi ha proposto volume, mi sono un po’ spaventato.
L’idea di trovare un metodo per carpire le emozioni, le emozioni del donatore, entrare, senza chiedere il permesso, nel cervello e nel cuore del donatore…capire cosa pensa, prima ancora che lo stesso donatore lo sappia…era forse un po’ troppo…
Ma poi ho letto il testo e mi sono divertito molto. Perché quella di Ambrogetti è una sfida alla professionalità del fundraiser e del mondo del fundraising.
In un paese dove le emozioni sono il pane quotidiano e sono anche viste con diffidenza; questo libro basato sulle ultime scoperte delle neuroscienze spiega che sono proprio le emozioni a guidare le nostre decisioni, in particolare quando si tratta di donare. Mi è apparso un libro rivoluzionario perché coniuga le piu’ recenti teorie di discipline diverse (economia, marketing, neuroscienze, psicologia) con casi concreti di fundraising di successo (dalla campagna di Obama a charity:water, dal primo esempio dell’uso della penna di Amnesty fino al recente Comic Relief ) e una esperienza concreta ventennale con tante organizzazioni piccole e grandi in diverse parti del mondo
In pratica Ambrogetti ci invita a considerare con una prospettiva piu’ strategica i donatori perchè i veri motivi per cui sostengono certe cause non è in quello che dicono attraverso i sondaggi (la parte razionale) ma in quello che essi provano e sentono (nel loro cervello appunto, nei loro pensieri)
Il libro ci offre lo spunto per trovare le armi della persuasione del fundraising e del fundraiser nelle sei emozioni chiave che guidano le decisioni: paura, rabbia, tristezza, disgusto, sorpresa e felicità. Solo usando parole, immagini, colori e suoni che evocano queste sei emozioni il fundraising ha la possibilità di riuscire.
Il libro è anche una straordinario invito a fare del fundraising qualcosa che veramente apra le menti e scaldi i cuori (e apra anche il portafoglio alla fine!). In altre parole Ambrogetti ci aiuta a capire, con strumenti concreti, che il segreto del nostro successo è nelle storie di quelli che aiutiamo e degli eroi silenziosi che lavorano per le nostre cause e nella nostra capacità di far commuovere, sorridere (e anche arrabbiare se necessario i nostri sostenitori) per le cause in cui crediamo e che aiutiamo. Ambrogetti ci aiuta a capire che non sono solo le tecniche a fare un buon fundraising, ma la capacità di raggiungere con i nostri messaggi i meccanismi profondi e inconsci che fanno decidere alla gente di donare o meno
Ma la cosa che mi ha convinto di più è che il libro è una sfida a un certo modo un po’ semplicistico e moralista di vedere il fundraising e il non profit. Vi è una sorta di ideologia del nonprofit che confonde i mezzi con i fini. Ovvero avendo “fini sociali” occorra usare “mezzi sociali”, dove sociale, in questo caso, è sinonimo di “scarso”, di “povero”, di non “professionale”.
È esattamente il contrario. Per fini alti, come quelli sociali, occorrono mezzi alti e super-professionali. Perché non si tratta si far star bene solo un proprietario di un’azienda, o i suoi collaboratori e dipendenti (cose di per sé importantissima), ma di far star bene l’intera società.
Qui non si tratta di manipolazione, ipnotismo o della cosiddetta” pornografia della povertà” per estorcere più soldi. Al contrario si tratta di conoscere in maniera più sofisticata come funzionano il cervello e le decisioni umane, senza assumere che i più sprovveduti siano sempre i donatori. I donatori si attivano se si emozionano!. Si può fare un buon fundraising se si è più capaci di emozionare e meno tecnicismi, se facciamo parlare le nostre cause e i nostri protagonisti e meno le nostre organizzazioni e le statistiche.
Da 20 anni lavoro nel settore nonprofit, di cui 15 dedicati esclusivamente al fundraising. Ho visto, partecipato e studiato, campagne di raccolte fondi in molti paesi, dapprima negli Stati Uniti, poi in Europa e in Canada, sempre in Italia. Ho ammirato e ammiro moltissimi grandi fundraiser, così come piccole realtà che quotidianamente si impegnano per cambiare il mondo, attraverso il fundraising. E dal mio osservatorio privilegiato che mi permette di essere studioso e consulente e qualche volta fundraiser, mano a mano che l’esperienza cresceva ho iniziato a pensare che esistesse un’ideologia inadeguata rispetto al modo in cui ci si pone nei confronti del fundraising: ogni euro speso nel fundraising, è un euro portato via alla buona causa. È vero il contrario: ogni euro speso per raccogliere più fondi è un moltiplicatore del benessere.
Questo libro è un contributo a stravolgere questa ideologia.
[1] Insieme a Massimo Coen Cagli e a Raffaella Milano scrisse il primo manuale di fundraising in italiano.