Ricevo un’altra e-mail che mi parla di una direzione lungimirante per certi versi ma VECCHIA nelle modalità.
La condivido con voi, che spesso vi trovate in questa situazione purtroppo.
Sotto la mia risposta… voi cosa fareste?
Ciao Valerio.
Ti scrivo sull’onda emotiva di un incontro con la Direzione. Per avere un tuo parere. Anche. O forse per cercare di capire qualcosa di più con te, se vorrai leggermi e soprattutto restituirmi alcune riflessioni.
Oggi avevamo un incontro per parlare di comunicazione interna/esterna e della campagna cinque per mille. Avevamo chiesto al direttore di legittimarci di fronte ai nostri colleghi. E la risposta della direzione è stata che non legittimerà nessun gruppo di lavoro (al massimo potrà comunicare che alcuni di noi lo stanno facendo a titolo personale così come altri stanno facendo a titolo personale altre cose) poiché legittimare un servizio significa garantirgli cose che, allo stato attuale, non si sente di poter garantire.
Perché allora lo avrebbe fatto anni fa quando tu gli hai proposto il percorso triennale a determinate condizioni e con determinati costi, con la sicurezza che avresti potuto dargli un futuro. Lui ne è convinto che sarebbe stato così perché il fundraising o si fa scientificamente o non si fa. Ma… economicamente non se la sentiva di sostenere un costo togliendolo ai servizi in essere.
Insomma, rispetto ad anni fa, quando forse ancora si poteva ipotizzare di investire per avere dei risultati, oggi ci viene chiesto di dare dei risultati e poi eventualmente arriveranno gli investimenti. Non è propriamente quello che avevamo in mente. Ma questo è quanto.
Io faccio fatica a capire. Valerio, mi credi se ti dico che a volte ho la sensazione che il maggior ostacolo al cambiamento sia proprio la direzione? Una direzione lungimirante per certi versi ma “vecchia” nelle modalità?
Noi vorremmo continuare: sappiamo che per ora non sarà possibile nessun budget, nessun ufficio, (almeno fossimo a livello di “Quando l’ufficio di raccolta fondi sei…tu” come dice una sessione del FFR!!)
Io non voglio lasciar perdere e sono abituata a lottare per le cose in cui credo ma…che fatica! Ne vale la pena? Non so. Ho molti dubbi. Ma il mio lavoro mi rappresenta ancora e così…
La mia risposta
Il tuo direttore è un grande capo perché non la manda mai a dire, anche quando dice cose su cui non si è d’accordo, almeno sai sempre qual è la sua vera posizione che NON cambia a seconda dell’interlocutore. E questo non è davvero poco.
Trovare un capo che chiaramente prende una posizione è una fortuna e una rarità.
La sua posizione sul fundraising è sempre stata chiara, sino dai tempi in cui ero consulente per voi, e chiara anche oggi. Devo pero’ dirti che secondo me lui ha ragione!
Ovvero su una cosa concordo con lui: o si fa una roba seria, o è davvero tempo perso, e alcune volte anche soldi persi… fare il fundraising come se fossimo dei carbonari volontari… non penso che possa funzionare!
D’altronde è vero quello che dici, è lui il problema, l’ostacolo, il paletto. Ma non è un ostacolo di per se, è semplicemente uno che ha un’idea diversa dalla tua (e dalla mia) e poco si può fare. E lui ne ha tutto il diritto.
Il fundraising si fa INEVITABILMENTE quando si ha fame (di soldi) e la Fondazione NON ha fame. Non ha bisogno, vive in altro modo, e vive bene. Allora perché, lui dice indirettamente, complicarsi la vita?
Quindi ahimè penso che NON ci siano molte soluzioni.
Come dico sempre ai miei figli “non basta aver ragione nella vita, occorre che gli altri te la diano”.
Io se fossi in te continuerei il tuo lavoro volontario, e nemmeno in modo troppo silenzioso, occorre far crescere la “cultura” del fundraising, anche nei capi che pensano che non ce ne sia bisogno. Per come vedo io i prossimi tramonti, ce ne sarà bisogno e molto anche in enti come la tua Fondazione.
Così come dico sempre ai miei studenti: “l’anticamera della disoccupazione, non è il precariato, ma è proprio il posto fisso”, anche nel nonprofit: “anticamera del fallimento della sostenibilità di un organizzazione nonprofit è avere troppi fondi pubblici…”
Finirà, ahimè, e allora saranno dolori…