Sono nel mondo non profit e del fundraising da 25 anni.
Non c’è un motivo particolare o una spiegazione logica in tutto questo.
Un bisogno va espletato e basta. E se non lo fai ne paghi, in un certo qual modo, le conseguenze.
Chiamatela necessità di essere utile al mondo, di benessere, di stare in pace con se stessi.
Chiamatela come vi pare. Ma se quella stanchezza a fine giornata per aver cercato di aiutare una persona a capire come fare fundraising non mi attanaglia, se la sveglia non suona così presto la mattina per andare a fare lezione in una piccola organizzazione non profit sperduta in Italia, se il fango di chi critica senza motivo i colleghi fundraiser (“gente che guadagna sul non profit, che vergogna!”), non è così spesso da sembrare una seconda pelle, se tutto questo non accade quotidianamente, con cadenza ciclica e regolare, qualcosa inizia a mancare. Destabilizzandoti nel profondo.
Più chiedi a te stesso (dando il massimo per quello studente da orientare nel lavoro, per quel fundraiser che ha perso il lavoro nel non profit e ne sta cercando un altro, per quella conferenza nuova da organizzare, fatta perchè ce n’è bisogno), più sacrifici farai e più sembrerai pazzo agli occhi degli altri (“ma scusa ma chi te lo fa fare?”) e risoluto ai tuoi.
Ma quello che conta davvero, è che hai estremo bisogno di tutto questo.
Delle sensazioni, dei rumori, delle parole di un mondo non profit mai uguale a se stesso.
Dell’odore di una mensa per i poveri, di un’alba che ti accoglie quando devi prendere il treno delle 5,20 per incontrare i sorrisi di una piccola di un’organizzazione non profit, della gratitudine dei miei studenti o nei risultati, straordinari, di coloro che ho condotto nei loro piani di fundraising.
Nessuno a cui dare conto..
Lo fai perchè ti fa sentire sano, vivo, e in fondo un po’ migliore.