Se il rumore si abbassa, la fiducia aumenta…
Ho ricevuto per 40 giorni di fila, ogni mattina, la stessa email con la stessa identica richiesta di “adozione a distanza” da parte di una importante nonprofit italiana.
A un certo punto, ho chiamato al telefono il direttore fundraising di questa organizzazione, che conosco, e gli ho detto preoccupato “ci deve essere qualcuno che vi ha hackerato, perché manda una email al giorno, e nemmeno con il vostro mittente”.
Lui mi ha risposto, che era una scelta dell’organizzazione, perché anche se la percentuale di risposte è ultra-bassa, spedendo milioni e milioni di email, questo metodo funziona e produce risultati.
Ragionamento inattaccabile.
Ma quanti sono i danni collaterali che una prassi simile, genera nel mondo nonprofit?
Di quanto aumenta il “rumore di fondo”? Quanto vengono coperte “le vere conversazioni” da questa tecnica?
In fondo il GDPR che l’Unione Europea ha deciso di scrivere ha messo in legge quello che avevo scritto più di 20 anni fa: “La relazione tra il donatore e l’organizzazione nonprofit è come un matrimonio (o un’unione civile aggiornerei adesso…), in cui ci si prende cura l’uno dell’altra, un matrimonio con degli “interessi reciproci”; uno scambio, una continua conversazione, non un monologo” .
Ci sono due modi per affrontare quello che sta succedendo a partire da maggio con la nuova Privacy:
1) Prendere il GDPR come un’imposizione
I consulenti informatici (e qualche avvocato della privacy), quelli che sono interessati a massimizzare i contatti, con le opportune “alchimie digitali”, riusciranno, a trovare il modo di rendere di nuovo legale, il marketing a basso impatto che hanno sempre fatto e otterranno lo stesso tipo di tolleranza di basso livello e di qualità che hanno sempre avuto. Anzi peggioreranno. Perché grazie ai BOT (software che con speciali algoritmi, interagiscono in modo simil-umano con i donatori), le interazioni diventeranno industriali. La macchina del marketing in molte organizzazioni nonprofit ha un insaziabile appetito per l’attenzione, per i dati e per i clic, e così, attraverso un po’ di firme qua e là, raggireranno la normativa, per continuare a fare quello che hanno sempre fatto.
2) Prendere il GDPR come un’opportunità
Specialmente per i fundraiser e le organizzazioni nonprofit che hanno qualcosa da dire, qualcosa da proporre, o qualcosa da voler cambiare.
Perché se il rumore si abbassa, la fiducia aumenta.
Per fare fundraising, occorre parlare con le persone con cui si vuole parlare.
Richiedere donazioni alle persone che hanno manifestato un interesse, anche solo inziale, per l’organizzazione nonprofit
Perché i messaggi che uno “si aspetta di ricevere”, personali, e che interessano, saranno sempre superiori allo spam.
E lo spam è odioso agli occhi del destinatario. Specie se lo si riceve da una nonprofit.
In sintesi, il GDPR dice due semplici parole: chiedete prima.
C’è un parallelo nella regolamentazione ambientale.
Cento anni fa, quando i governi cominciarono a prestare attenzione agli inquinanti e ai veleni che le multinazionali scaricavano sulle loro comunità, alcune imprese decisero di non fare nulla per smettere di inquinare, e di fare pressione sui governi perché le nuove normative non passassero, e spesero molto tempo e denaro per combattere il cambiamento. Altre imprese decisero di andare in un’altra direzione, scegliere l’opzione di migliorare sé stessi, diventando intenzionalmente (e non per motivi di legge) più efficienti dal punto di vista ambientale.
Chi ha vinto? Oggi sappiamo che essere puliti si ripaga da sé.
Il percorso verso un’industria pulita si è rivelato più intelligente.
L’UE sta rispondendo ai donatori che si sentono strappati, disturbati, azzannati, oppressi. Sono stanchi di vedersi spogliati dei loro dati e rubata la loro attenzione.
I fundraiser non dovrebbero lottare contro questa normativa, ma superarla in efficienza.
Non si tratta di smettere di inviare email o lettere.
Tutt’altro! Si tratta di smettere di fare “rumore”.
Chi otterrà maggiori risultati nel fundraising sarà chi riuscirà a inviare più lettere o email alla “propria” comunità, a quelli che “si aspettano” di ricevere le comunicazioni.
Vincerà chi ha “chiesto il permesso”, prima di entrare.
In fondo in GDPR ha regolamentato quello che già si sapeva: vincerà chi conosce meglio il proprio donatore, chi è più capace di creare “matrimoni di interesse”.