Qualche settimana fa un caro amico mi ha chiesto il favore di aiutare un Monastero poco distante da Roma, per fare un po’ di raccolta fondi.
A dir la verità ho aspettato qualche settimana prima di mettermi in contatto con loro. Di richieste di questo tipo ne ricevo parecchie, spiegare tutto il fundraising via email è ben impossibile, però ho cercato di trovare il momento “buono” per scrivere qualche passaggio e rendermi disponibile per una chiacchierata, nel tentativo di far di tutto per far passare al meglio quella che è l’idea del fundraising.
Così il weekend scorso, nella tranquillità di casa, decido di ritagliarmi un po’ di tempo per dedicarmi a questa cosa. Scrivo un email, dove spiego che mi occupo di raccolta fondi, sia in università (dove lo insegno), sia professionalmente ormai da trent’anni.
Passano pochi minuti e ricevo subito una risposta.
Dopo avermi ringraziato per la disponibilità mostrata, senza alcun indugio mi vengono esposte diverse perplessità riguardo alla possibilità di intraprendere un percorso di raccolta fondi.
Nonostante il bisogno di denaro del Monastero sia reale e urgente, c’è un’evidente incertezza nei confronti delle tecniche che si è soliti utilizzare per fare fundraising.
Con dovizia di dettagli, mi viene infatti spiegato che già diverse persone dentro a questo ambiente (quello della raccolta fondi per intenderci), nei mesi scorsi hanno avanzato alle Sorelle diverse proposte. Idee (a detta della mia interlocutrice) un po’ “improbabili” o “invadenti” rispetto al genere di vita tipico di un Monastero.
Tra queste c’erano: la partecipazione di alcune Sorelle a una famosa emittente locale e ad altre trasmissioni televisive ancor più note, l’apparizione di un articolo su un noto quotidiano, e in ultimo, il crowdfunding. Proposte che le lasciavano perplesse, per il tipo di risvolto (non sempre positivo) che secondo loro avrebbero potuto avere sulla vita del Monastero.
Come dargli torto! Rispondo subito.
Non evito di nascondere che queste proposte (tranne l’idea del crowdfunding, che però di certo non possono condurre da sole) sono esattamente l’opposto esatto di quello che io ritengo essere la raccolta fondi.
In modo molto franco – come sono abituato a fare – provo a spiegare che il fundraising NON è farsi conoscere il più possibile in modo che la gente doni, MA al contrario, è conoscere il più possibile il donatore, affinché capiamo quello di cui lui/lei ha bisogno.
Le esorto a dotarsi di un elenco di nomi (il database) per iniziare a costruire il loro piccolo mondo di sostenitori. Per conoscerli, uno per uno, e capire che cosa e in che modo potrebbero sostenerle.
Qualcuno sarà sicuramente adatto a donare, qualcuno a trovare amici che donino, qualcun altro a dare i mattoni per l’ampliamento della casa, ecc.
Continuo nel spiegare loro che ci sono tante cose che si possono fare, senza essere invasivi.
Come ad esempio la semplice diffusione del giornalino che racconta, descrive, spiega, e indirettamente chiede. Con la conseguenza che poi la raccolta fondi arriva.
Perché la raccolta fondi, non è semplicemente il dire “donate donate donate” (che comunque ne è parte), ma è l’insegnare all’altro la gioia di donare.
La donazione è una necessità della vita di ognuno di noi.
Chi compra oggetti o qualcosa è felice per un po’ di tempo, e poi diventa triste, e deve cercare qualcos’altro da comprare altrimenti va in depressione (e comunque prima o poi ci va lo stesso… ahimè).
Chi dona, e impara a donare (non a fare regali, che è diverso…), ma chi dona con il cuore, è più felice. E la felicità dopo il dono non crolla. Anzi aumenta!
Questo è il vero e unico segreto (peraltro ormai svelato) della raccolta fondi.
Non è farsi conoscere. Non è portare la propria causa in televisione. Non è uscire sul giornale. Non è basta che se ne parli. Queste cose servono? Sì, possono aiutare.
Ma fare fundraising significa conoscere il proprio donatore, coccolarlo, farlo innamorare della propria causa, coinvolgerlo e farlo sentire parte di qualcosa, e solo poi, gli si può chiedere di donare, spingendolo piano piano a continuare a farlo con regolarità.
Andrò da loro a conoscerle e a fargli visita nelle prossime settimane appena mi riprendo.
Ancora non so che cosa decideranno.
Ma sono già contento così.
Per aver avuto l’opportunità di far capire, attraverso poche righe, che il fundraising richiede cura, impegno e duro lavoro, ma poi i risultati (quelli veri) arrivano.
Che il fundraising è un lavoro vero, non è improvvisazione.
Che insegnare all’altro la gioia di donare è il primo e unico passo per promuovere la tua causa.