La storia di Rita…
Che fosse stata fatta un’ingiustizia era una cosa che aleggiava in casa mia. Mia mamma era andata a molti processi, per via dell’incidente a mio padre, ma l’esito era stato negativo. Non riuscivo a cogliere fino in fondo il senso e le motivazioni, ma la sensazione e il desiderio della necessità di una specie di riscatto mi hanno accompagnato nella crescita.
Così come nella crescita mi ha sempre accompagnato un rapporto faticoso con il denaro. Non mi è mai mancato niente, ma ho sempre avuto la sensazione che i soldi non fossero scontati in famiglia. E così, fin da bambina, mi sono abituata a contare, a chiedermi se potevo permettermi la tal cosa oppure no, e a volte a rinunciare, da sola, senza domandare. Fin da molto piccola ho sviluppato una consapevolezza sull’importanza del denaro per fare di più, per fare meglio, per avere più possibilità. E così i soldi si sono tradotti presto in un buon amico che però non sempre era disponibile.
Negli studi ha prevalso il mio amore per le lingue e per le culture straniere e così mi sono trovata itinerante per l’Europa a imparare l’inglese e il francese, ma soprattutto a scoprire il mondo. Non era quella però la vera via e lo scoprii un giorno d’estate, in giardino. Leggevo un manuale sulle organizzazioni nonprofit, che avevo trovato in un centro universitario dove lavoravo e che mi aveva incuriosito. Un piccolo box, dal contorno rosso, era dedicato alla professione del fundraiser. La descrizione era semplice e assai breve, ma per me bastò. Fu come un’epifania, scoprire che esisteva un mestiere che ruotava attorno alla ricerca di finanziamenti ma non per arricchirsi, bensì per contribuire a risolvere problemi sociali, a combattere l’ingiustizia, e tanto altro. Contro l’ingiustizia, con i soldi. Così semplice e così vicino a quello che ero e che volevo essere.
Testa o cuore? Trovare l’equilibrio giusto…
Trovo che una delle cose più difficili nella professione del fundraiser sia trovare l’equilibrio giusto fra la passione e la razionalità, il cuore e la testa, e lo è ancora di più quando si incontra viso a viso un potenziale donatore.
Una volta andai ad incontrare il Presidente di una grande azienda italiana. Avevo già conosciuto le persone del marketing e della comunicazione, proponevo un progetto ambizioso, e un finanziamento ingente, e quindi dovevo – come ultimo tassello – anche convincere il numero uno.
Me lo trovo davanti, e sono tranquilla perché so di essere molto preparata, avevo studiato a lungo perché per avere successo la preparazione è fondamentale. Avevo ripetuto la presentazione, avevo chiaro in mente il mio obiettivo, e anche i possibili ostacoli, mi ero preparata alle domande più probabili. Inizio a parlare, sciorino numeri, dati, il metodo di valutazione e monitoraggio del progetto e tanto altro.
Dopo alcuni minuti, quell’uomo mi guarda e mi chiede “E che cosa fate per i bambini?” Mi ero così concentrata sulla parte più razionale, tenendo a mente il ruolo del mio interlocutore, di Presidente d’azienda abituato a numeri e fatti, che avevo dimenticato il lato umano, non avevo trasmesso nessuna emozione, avevo completamente trascurato il cuore della mia missione. Per fortuna, di fronte alla sua domanda, ho avuto la prontezza di cambiare direzione e tutto è andato per il meglio. E, ciò che è più importante, ho imparato una lezione che mi è servita a lungo.
Di cosa si occupa il Global Fundraising e Marketing Hub di Save the Children International?
È un team centrale di professionisti della raccolta fondi, a supporto di Save the Children (le varie organizzazioni) collocate in vari Paesi nazionali.
La tua massima preferita per il mondo del fundraising…
Ho da sempre due mantra nel fundraising e anche nella vita: il primo è “SMILE” mentre il secondo è “TRY AGAIN”.
“Smile” Come tutti sanno significa sorridi, quindi prendere la vita e la sfida nel fundraising con positivita’ e ottimismo, guardare sempre il bicchiere mezzo pieno e avere un approccio orientato alla soluzione.
“Try Again” significa provaci di nuovo, quindi fa riferimento al non arrendersi, ad avere la tigna, la grinta per riprovarci e fare meglio, magari diversamente, ma non prenderla mai come se una cosa fosse “persa” e pensare che sia impossibile riuscirci.
Quale consiglio sentiresti di dare ai tuoi giovani colleghi?
Metteteci passione. Dovete avere grinta ed essere ambiziosi e tenaci. Non prendere un no come definitivo e un fallimento come inesorabile. Smile & Try again! Il fundraising e’ un mestiere bellissimo ma richiede un’alta motivazione e tenacia per farlo al meglio. E poi lo studio, l’impegno, il duro lavoro. Generare fondi, fare fundraising bene, no non è questione di magia. Bisogna lavorare sodo, puntare alto e crederci moltissimo.