Vorrei partire prendendo di petto una domanda basilare la cui risposta ho forse data per scontata:
che cosa è il lavoro?
È importante farsi spesso questa domanda, specie in vacanza in cui hai un po’ più tempo libero, perchè poi quando lavori rischi di non chiedertelo mai.
Per rispondere a questa domanda c’è solo un modo:
guardare alla nostra vita.
Chi sono io? Sono il mio lavoro.
Per me ogni istante è lavoro, letteralmente ogni istante. Perché? Perchè di fatto io non “faccio un lavoro”, ma “io sono il lavoro che faccio”.
Il mio stesso esistere nella carne, il mio stesso respirare, soffrire la fame e la sete è lavoro. Tutto ciò che io vivo è lavoro, nulla escluso, vivere le amicizie, i miei innamoramenti, (e i disinnamoramenti…), il fine settimana, persino il nascere o morire. Tutto. Non solo ciò che faccio, ma anche ciò che soffro. Ogni istante della mia esistenza è lavoro, perchè il mio stesso essere nel mondo, il mio stesso esistere nella carne, è lavoro.
Il lavoro non è qualcosa che si aggiunge al mio io. È il nucleo più vero del mio io. Tutta la mia vita, ogni istante, ogni respiro, è l’occasione per lavorare nella circostanza in cui mi trovo, bella o brutta che sia.
Tuttavia se le circostanze non sono giuste e ragionevoli, la vita si complica.
Sono tanti i momenti in cui ho sofferto, ma ce n’e’ uno, un momento nella mia vita che ho percepito questa difficoltà a mettermi al lavoro nella realtà.
È stato proprio quando sono tornato dagli Stati Uniti, circa 20 anni fa.
Allora mi sembrò ragionevole e giusto, anche se doloroso. Negli Stati Uniti ero rimasto senza lavoro, ero in crisi per diverse ragioni, anche personali. Stavo cercando delle possibilità ma non ne apparivano all’orizzonte. All’improvviso, out of the blue, come dicono in America, piovve dal cielo questa proposta del mio prof di tesi: “C’e’ una posizione libera qui che corrisponde proprio al profilo di Melandri…”. Tutto accadde estremamente in fretta, perché si trattava di una proposta “prendere o lasciare”. Mi trovai a dover accettare o rifiutare entro pochi giorni. E dissi di sì.
È li che mi chiesi: allora perchè tutti questi anni in America?, tutte le energie che ho investito, tutti i sogni che avevo, il sudore, il sangue versato… che cosa rimane di tutto questo? L’America mi rimaneva incastrata nel cuore come una sorta di promessa non mantenuta.
Mi giravo indietro e mi sembrava di non vedere altro che una serie di rette sghembe che non riuscivo a ricomporre in unità.
E quando questo succede, hai un problema con il tuo lavoro.
Perchè?
È che noi siamo fatti per vedere “il disegno”, siamo fatti per vedere il senso totale del nostro lavoro. (Ecco perchè quando si vuole dire che una posizione di lavoro non è interessante, si usa dire “in quel posto di lavoro, sarai solo un ingranaggio…”).
Se non vediamo il senso totale, qualcosa in noi comincia a dubitare che questo senso ci sia.
E non si può vedere il senso totale se non alla fine della storia, cioè appunto quando si ha davanti tutta la storia. Mentre ancora cammini non puoi cedere al dubbio. E comprensibile ma è irragionevole. Non è giusto.
Devi andare avanti. Ti devi abbandonare. Ti devi affidare.
Se ti affidi, se non molli ti affidi, poi arrivi a vedere, e il cuore si riempie di stupore e gratitudine.
Così è stato per me.
Quando arrivai all’Università di Bologna, mi sono trovato scaraventato in una università di basso livello accademico (paragonato a quello che avevo vissuto negli anni alla New York University), circondato da persone che ne sapevano meno di me, ma che avevano posti di grande prestigio, a causa del “tempo” che avevano speso al servizio del “professore/barone” di turno.
La mia vita era il caos, un lavoro completamente diverso da quello che facevo negli Stati Uniti. La provincia di Forlì (rispetto a New York…), la solitudine del “nuovo arrivato” isolato dal gruppo, impaurito delle competenze ed esperienze che avevo, e anche la mia vita personale non era il massimo. Ero single, con una storia affettiva appena conclusa, e con pochi amici.
Rientrato dopo quasi 4 anni dagli Stati Uniti, avevo ben pochi riferimenti. Avevo sempre pensato che non sarei ritornato in Italia.
Dopo sei mesi dovevo cominciare ad insegnare e mi chiesi, se aveva senso.
Così il buio mi avvolse. Un buio più buio. All’inizio pensai che fossero le circostanze: il sentirmi inadeguato, il non sentirmi al posto giusto. Ma non era per questo. Era il dubbio su che cosa significasse veramente lavorare. Allora volevo scappare: non ce la faccio, mi ritiro.
Ma a quel punto successe qualcosa. E raccontai tutta la mia difficoltà e la mia volontà di mollare a mio padre. E mio padre si oppose. “No, torna in Università, non cedere! Riprova!”. A denti stretti, mi fidai. E quel fidarsi a denti stretti, è forse la cosa di cui sono più lieto nella mia intera vita. Quel sì detto a denti stretti quando ti senti avvolto dal buio.
Da quella decisione sono arrivato qui.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza mio padre, che, come faceva da piccolo, mi ha RI-preso di nuovo in braccio. Mi ha RI-messo “al lavoro”.
C’e’ una scena nel “Signore degli Anelli” che racconta questa stessa dinamica.
Quando Frodo e Sam sono ormai alle pendici del monte Fato, di fonte all’ultima salita. Frodo non ce la fa più, è sfinito, non riesce ad andare avanti. Allora Sam lo prende sulle spalle: “Non posso portare l’Anello per te, ma posso portarti”. Grandioso! Il vero padre (ma anche il vero amico, o il vero collega) non ti sostituisce. Non prende il tuo peso. Non te lo toglie, ma ti porta. Ti aiuta portando te.
Il lavoro è il tuo, ma non sei solo a portarlo.
Se penso al lavoro, al gruppo di lavoro con cui sono fianco a fianco ogni giorno, ma anche a chi amo, ai miei affetti, ai miei figli, cerco davvero di essere Sam per ognuno di loro, ogni istante della mia vita.
Questo per me, significa lavorare, e sono grato perchè se penso allo staff del festival: Alessandra, Carlotta, Claudia, Elisa, Emanuele, Giulia, ma anche Stefano, la Betti e tutte le altre persone che non sono tutti i giorni con noi, ma comunque lo sono, ecco tante volte loro sono state il mio Sam! (E io, a volte, anche non sono grasso…. sono un po’ pesante da portare in braccio!!!).
Buone vacanze!