Dopo aver visto i risultati del Giving Tuesday Report credo che se non diamo la giusta importanza, rischiamo, nel giro di breve, di essere travolti da nuove forme di donazione (o di vecchie forme di donazioni che non abbiamo mai misurato) dove, come fundraiser, non siamo ritenuti più necessari.
Sto parlando della disintermediazione nel fundraising.
Ne avevamo già parlato al Festival del Fundraising 2021 nella sessione plenaria “effetto ferragnez”.

La sessione era dedicata a capire meglio non tanto la raccolta fondi fatta dai coniugi Ferragni a favore dell’emergenza Covid (4 milioni e mezzo di fondi raccolti), quanto nel comprendere se e come il fundraiser si debba adattare in un mondo della raccolta fondi sempre più disintermediato.
L’organizzazione nonprofit nel modello classico è l’intermediario tra chi dona e chi riceve, e il fundraiser è la persona skillata, competente, etica, professionale, formata… che chiede la donazione. Invece in un mondo disintermediato chiunque può aprire una campagna di crowdfunding e raccogliere fondi per una causa.
Oggi ci sono piattaforme di raccolta fondi, sistemi di crowdfunding e i social fundraiser che possono essere una grande opportunità per la raccolta fondi. Ma anche un grande rischio. In molti casi dietro queste raccolte fondi non c’è più un fundraiser professionista e un ufficio fundraising che cura la campagna e l’impatto dei fondi raccolti.
Chi è che fa la richiesta di fondi?
Quali competenze ha?
Non sto dicendo che non ci sia la possibilità di aprire una fase nuova nel mondo del Fundraising.
Sicuramente la disintermediazione è un fenomeno che non si può arrestare. È come se noi provassimo a fermare un fiume con un pezzo di legno – impossibile – e non è più possibile costruire nessuna diga conto la disintermediazione.
In altre parole disintermediazione significa che tutti quanti possono diventare Fundraiser. Cosa che sicuramente è una cosa bella, perchè in questo modo tutti noi siamo responsabili di ciò che realizziamo nel nonprofit. L’idea di far gestire una campagna di raccolta fondi piccola a qualcuno non direttamente esperto, è giusta!
Ma è anche vero che c’è il forte rischio che molte delle persone che fanno delle campagne di raccolta fondi non sappiano bene tutte le conseguenze che quest’azione può generare.
L’idea che l’intera raccolta fondi, cioè circa 6 miliardi di euro che tutti gli anni vengono accolti in Italia, siano da trasferire progressivamente all’interno delle raccolte disintermediate (cioè le raccolte fondi fatte su Internet o attraverso il cosiddetto crowdfunding) è un’autentica follia.
1 – Le persone non donano di meno, siamo noi che non sappiamo misurare come le persone donano
Ripensiamo per un attimo alla straordinaria generosità degli italiani quando è iniziata la guerra in Ucraina: l’unico dato reso misurabile è / sarà quello delle raccolte fondi monetarie.
Ma come misuriamo la generosità nella donazione di beni di prima necessità?
E il tempo messo a disposizione da chi ha accolto i profughi nelle proprie case, chiese o centri di accoglienza?
E’ chiaro che quello di cui abbiamo bisogno è di raccogliere più dati sulle diverse modalità di donare degli italiani e abbiamo bisogno di maggiore sensibilizzazione sulle diversità di modelli di donazione: questo servirà sicuramente a rafforzare la percezione del fundraising che non può essere visto solamente come un universo fatto di persone – i fundraiser – che chiedono donazioni monetarie.
2 – Il donatore non dona solo denaro
Il donatore non vuole donare solamente denaro, ma vuole donare tempo, fare advocacy, donare dei beni. E non stiamo parlando di briciole…stiamo parlando di una donazione media in beni di circa $400 all’anno per donatore… e se guardate più attentamente il grafico, il dono non monetario è 2 volte superiore a quello monetario!!!

Questo grafico ci dice che non serve promuovere la cultura del dono perchè i donatori sono già più avanti del fundraising stesso: serve invece continuare a formare i fundraiser ad avere uno sguardo aperto alla donazione tanto quella monetaria quanto quella non monetaria.
Serve formare i fundraiser all’uso di strumenti di people raising, di advocacy e non solo del fundraising in senso stretto.
3 – Il perno non è più l’organizzazione nonprofit
Nella parte dedicata alle donazioni mondiali del report Giving Tuesday si dice che solo il 29% delle donazioni mondiali sono donazioni monetarie e di queste meno del 33% sono ad entità nonprofit registrate. Anche gli altri tipi di donazioni ad entità nonprofit registrate sono la minoranza (30% volontariato, 30% donazione beni), per cui è evidente l’assunto che non è “LA” organizzazione nonprofit a fare la differenza (al donatore che siate onlus, ets, o altro fa ben poca differenza) quanto la proposta che viene fatta, la causa che viene portata avanti.
Smettiamola di essere organizzazione centrici (tipo gli annunci: da 50 anni ci occupiamo di questo e quello..) e pensiamo invece a come ci poniamo con il donatore, a cosa gli proponiamo.
Questa diversità nel donare è un dato interessantissimo per i fundraiser.
Dobbiamo andare a cercare nei nostri database come abbiamo acquisito quel donatore, a che cosa hanno risposto, che problema volevano risolvere, tramite quale canale li abbiamo acquisiti. Perchè le risposte a queste domande ci daranno le indicazioni su come interagire con il donatore nel futuro e non è detto che nel futuro dobbiamo chiedergli sempre una donazione monetaria, magari avremo bisogno di lui/lei come volontario.
4 – Donazioni continuative la vera risorsa
Le donazioni monetarie negli USA sono in costante calo ma l’unica forma di donazione monetaria che è in crescita costante è la donazione mensile, stiamo parlando di circa 2,2% di donatori ripetuti in più in un anno.

Come fare per ottenere più di questi donatori?
Bisogna trovare la chiave per relazionarsi con loro (relazione alla causa) non relazionarsi secondo quelle che sono le condizioni della tua organizzazione.
Esempio: non doni all’ente xy ma doni alla causa xy…facciamo passare questo concetto in tutti i materiali promozionali di molte campagne di raccolte fondi e vedrete come i dati potranno cambiare.
Perchè calano le donazioni monetarie?
Quelli di Giving Tuesday danno le seguenti motivazioni che anche io condivido:
● Interagiamo meno con coloro che donano poco
● Interagiamo spesso in base al nostro punto di vita (esattamente quanto ti spiegavo prima…ci mettiamo dal punto di vista dell’organizzazione) non capendo che se il donatore dona ad una causa lo fa perchè è motivato e perchè crede in quella causa
● Non comprendiamo che – come dicono i dati – chi fa una donazione non in denaro ha il 72% di possibilità in più di fare una donazione in denaro successiva a differenza di chi ha già fatto una donazione in denaro
5- Le ragioni per cui le persone donano
Il 93% degli italiani dice che donare è importante per loro e lo è:
● Perchè vogliono fare la differenza (85%)
● Perchè sono stati sensibilizzate personalmente e a livello emozionale dalla causa (80%)
● Perchè donano con il cuore e non con la testa (77%)

Questi dati ci aprono scenari avvincenti per il futuro. La disintermediazione avanza, e non possiamo più fare finta di niente.
Una delle affermazione che più mi ha colpito di questo Giving Tuesday è la seguente “It is the norm for people to give multiple times, in multiple ways, to multiple entities and recipients”.
E’ la norma per le persone donare molte volte in modi differenti ad enti differenti e beneficiari differenti.
Quello che dicevo 1 anno fa sul palco del Festival ora è messo nero su bianco da questa ottima ricerca.
Non stiamo parlando solo di disintermediazione ma di un donatore che dona “come gli pare”, che “crede alla causa” e solo in secondo luogo all’organizzazione.
Il lavoro di noi fundraiser sarà sempre più difficile ma è una sfida da accettare con uno sguardo di fiducia verso il futuro.