Ci siamo rimasti soltanto noi a parlare di sociale. Ci sono rimaste soltanto le organizzazioni nonprofit.
Ve ne parlo in 500 parole. C’è stato un momento, dal 2017 al 2021 diciamo, in cui persino grandi brand come Nike, Gilet o Patagonia avevano iniziato a esporsi politicamente per essere rilevanti (per la verità, sempre con un orientamento unidirezionale), ma rischiando di far fuori gruppi di clienti che non avevano convenzioni politiche simili.
Un sondaggio svolto sui consumatori dell’epoca ha riportato che quasi il 75% degli intervistati voleva che i brand difendessero le loro convinzioni politiche. Così come circa il 66% si diceva determinato a cambiare brand se non ci fosse stato un allineamento di tali convinzioni.
Forse la più famosa di queste pubblicità è stata quella di Nike del 2018, realizzata per celebrare i 30 anni dello slogan “Just do it”. In questa pubblicità c’era Colin Kaepernick, ex quarterback della NFL noto per essersi inginocchiato durante l’inno nazionale come protesta contro la brutalità della polizia e le ingiustizie razziali. Lo slogan della pubblicità recitava “Live something even if it means sacrificing everything.”. Una bella presa di posizione da parte di Nike!
Così le aziende facevano sociale e prendevano il loro posto del mondo nonprofit con le loro campagne pubblicitarie: c’era chi difendeva l’integrazione, chi affrontava temi di genere, chi convenzioni politiche inerenti la guerra o per meglio dire le guerre.
Ma ora non è più così.
La forza del politicamente corretto, la forza dei messaggi non divisibili, la forza della generica e non dirompente della promozione della pubblicità ha ripreso il suo corso, difficilmente i brand (soprattutto quelli grandi e internazionali) oggi intervengono su tematiche come gli sbarchi o la guerra a Gaza o l’intervento militare in Ucraina o, per rimanere nel nostro territorio, i temi della famiglia omogenatoriale, o i diritti LGBQ+.
Tutto questo è sparito dalle promozioni e pubblicità delle aziende profit, anzi direi che è accuratamente nascosto il piccolo ruscello che sembrava finalmente aver trasformato l’idea stessa di azienda come qualcosa che rifletteva i bisogni emergenti sociali della società è stata riassorbita dal grande alveo del fiume gigantesco, potente e prorompente (e per certi aspetti intollerante) del politicamente corretto, del non divisivo, del non dire, del non prendere una posizione, di non lanciarsi in affermazioni che potrebbero non piacere a tutti i nostri clienti.
Ci siamo rimasti soltanto noi a parlare di sociale, a dire qualcosa di diverso, a tentare di essere un punto di vista diverso, a tentare di raccontare la realtà non nel modo univoco con cui certa stampa o certe aziende la raccontano ma con un volto diverso, con un’opinione diversa senza paura di perdere potenziali “clienti”.