“Durante una delle mie lezioni sul settore nonprofit, uno studente mi chiese di fare il nome di un’impresa profit impegnata nella risoluzione dei problemi sociali alla stregua delle aziende nonprofit; risposi che per me sarebbe stato difficile citare un’impresa che non lo facesse. I nostri giovani crescono con la strana convinzione che l’unico modo per fare qualcosa di buono nel mondo sia lavorare per un’azienda nonprofit oppure diventare il prossimo Bill Gates e creare una fondazione privata, o ancora dedicarsi alla “imprenditoria sociale”, spesso senza comprenderne il significato.
Etimologicamente, la parola filantropia indica un sentimento di amore (dal greco φιλία, filìa) nei confronti degli esseri umani (dal greco ἄνϑρωπος, ànthropos). Nell’uso corrente un filantropo è una persona generosa che fa attività di beneficenza.
Questa definizione, anche nel giorno della sua morte, avvenuta a soli 56 anni, mi fa pensare a Steve Jobs.
Rientrato alla Apple nel 1997, si dice che Jobs interruppe tutti i programmi di beneficenza per tagliare le spese a causa delle difficoltà economiche che la società stava incontrando; si sparse la voce che quei programmi non furono mai più ripresi.
Un articolo su Jobs pubblicato nel 2006, dal titolo “Una grande ricchezza non fa di una persona un grande uomo”, affermava che, nonostante un patrimonio di 3,3 miliardi di dollari, il nome di Jobs non compariva negli elenchi dei grandi donatori. Dopo aver mosso l’accusa, l’articolo riconosceva la possibilità di donazioni in forma anonima e proseguiva, in modo pesante, affermando: “E’ sconcertante che Jobs sia insensibile ad una causa che dovrebbe avere un significato profondo per lui… Infatti si è ammalato di cancro ed è riuscito a vincerlo. Ma diversamente da Armstrong, si è impegnato molto poco nella raccolta fondi. […] È soltanto un avido capitalista che è riuscito a mettere insieme una fortuna. È vergognoso… Bill Gates merita molto di più della “rock star dell’America aziendale” (come viene definito Jobs). Per lo stesso motivo, Bono è più degno di stima di Mick Jagger e John Lennon più di Elvis; queste persone hanno parlato di cose ben più importanti della loro celebrità.” Questo è innegabile, ma la loro celebrità era in parte collegata alle cose di cui parlavano.
In un’intervista del 1985, Jobs affermava che bisogna avere tanto tempo libero per poter fare delle donazioni e che “per imparare a fare bene qualcosa, è necessario sbagliare… il problema, nel campo del fundraising, è che non esistono sistemi di misura, per cui non si riesce a capire se un’iniziativa è stata un fallimento o un successo.. quindi è molto difficile migliorarsi. […] non appena avrò un po’ di tempo, creerò un fondazione pubblica.”
Nel 1986 lo fece, ma quella fondazione chiuse i battenti dopo soli 15 mesi. Secondo la persona che egli incaricò di gestire la fondazione, Jobs non aveva il tempo materiale di occuparsene; gli amici di Jobs affermarono invece che la sua decisione era dipesa dalla sua convinzione di fare meglio l’interesse della collettività espandendo la Apple. E meno male!
Immaginiamo quale perdita sarebbe stata per l’umanità intera se invece di dedicarsi a quello che sa fare meglio, Jobs avesse dedicato gli ultimi 25 anni della sua vita a pensare a come devolvere in beneficenza i suoi miliardi.
Non avremmo oggi la possibilità di leggere le e-mail o di navigare in internet dal cellulare; e questo vale per tutti: studenti, medici, infermieri, volontari, leader delle aziende nonprofit, assistenti sociali, ecc. Il lavoro di Jobs ha aiutato i non vedenti a leggere i testi scritti e ha permesso loro di riconoscere le monete; ha permesso ai fisici di approfondire le loro ricerche e ai chirurghi di migliorare le prestazioni in sala operatoria, ha aiutato le aziende nonprofit a raccogliere fondi.
Senza il lavoro di Jobs, saremmo ancora lontani almeno dieci anni dall’iPad, che ha introdotto l’era della lettura digitale, grazie alla quale potremo salvare intere foreste e risparmiare tutte le energie necessarie per trasportare il legname e produrre la carta. Ed è solo l’inizio. I medici utilizzano l’iPad per migliorare l’assistenza sanitaria, per curare l’autismo; inoltre è uno strumento adatto a stimolare la creatività dei bambini e ha permesso di rivoluzionare la formazione in campo medico.
E non possiamo certo affermare se non lo avesse fatto Jobs, ci avrebbe pensato qualcun altro; gli strumenti tecnologicamente avanzati di cui disponiamo oggi hanno preso ispirazione soltanto dalle sue idee.
Avremmo dovuto aspettare ancora chissà quanti anni prima di avere un meccanismo user-friendly per disporre di musica in formato elettronico senza rubarla continuando a masterizzare i CD, il che vuol dire che produrremmo ancora centinaia di milioni di CD con custodie in plastica.
Non esisterebbero i 34.000 posti di lavoro a tempo pieno creati dalla Apple, per non parlare di tutti i lavori di manifattura che gravitano intorno alla società.
Non esisterebbe neppure la ricchezza che l’azienda ha creato per milioni di americani che hanno puntato su di essa.
Non esisterebbe la video conferenza, i nostri computer continuerebbero ad andare in tilt… E’ possibile quantificare il valore di tutto il tempo non più sprecato per aggiustarli?
Faremmo a meno di un intero modo di pensare, sui computer, sulla leadership, sul business… sul nostro potenziale.
La verità è che ciò che conta davvero è il modo in cui utilizziamo il tempo su questa terra, non quanti soldi doniamo; il coraggio e l’energia che spendiamo nel combattere il cinismo e la mediocrità, affrontando chi cerca di calpestare i nostri sogni e sfruttando al massimo il nostro potenziale.
Se consideriamo tutto questo, allora possiamo affermare che non esiste un filantropo più grande di Steve Jobs. Se mai un uomo ha dato un contributo importante all’umanità intera, quest’uomo è lui. E lo ha fatto mentre lottava contro il cancro.
Durante una recente intervista, Bono difende Jobs, affermando che la Apple è stata la più generosa sostenitrice del Global Fund to Fight AIDS, Tuberculosis and Malaria, con donazioni di decine di milioni di dollari. Inoltre Bono affermò che il fatto che una persona abbia tantissimi impegni non implica che non abbia a cuore il bene comune. Steve Jobs ha consacrato la sua vita al progresso dell’umanità, non al suo piacere personale; non ci troviamo di fronte ad un uomo che ha trascorso la vita a costruire case o yachts, ossessionato dall’idea di come spendere i suoi miliardi per il suo piacere personale; non si può nemmeno dire che abbia mai avuto molto tempo libero per dedicarsi a sé stesso.
E a quanto pare, le sorprese di Jobs non finiscono qui… quest’uomo e la sua visione, doneranno ancora molto all’umanità”.
Questo commento alla morte di Steve Jobs che mi ha passato una mia collaboratrice in inglese, è tratto dal blog di Dan Pallotta, un vivace studioso italoamericano, (e che io mi sono limitato a tradurre), è davvero bello, lucido, chiaro. Rappresenta Steve Jobs non solo come un grande imprenditore, e un grande creativo, ma soprattutto come un uomo impegnato a fare bene ciò che più gli piaceva (e quindi che gli riusciva meglio).
Steve Jobs ha consacrato la sua vita al progresso dell’umanità, ha unito bene comune e piacere personale. Jobs è stato uno di quegli uomini, non rari ma rarissimi, che ha sempre saputo far coincidere la realizzazione di se stesso e dei propri obiettivi, la creazione di opportunità per sé con la creazione di opportunità e di benessere anche per gli altri. E tutto questo sia per indole, sia per coraggio, sia per capacità, sia soprattutto per il suo grande attaccamento al reale.